era già tutto previsto, ovvero la teoria dell’ineluttabilità

Charlie-Brown-on-Love– E come hai detto di chiamarti?
Aspetta, aspetta almeno un attimo, concedimi il giusto spazio per osservarti [inosservata?].
In questo tempo, ancora leggero, che ticchetta al ritmo regolare di un conto alla rovescia [ma davvero tu non lo senti?], in cui niente del tuo passato può catapultarmi nel nostro futuro, niente di te mi tocca, mi accarezza, niente mi sfiora.

Eppure guardandoti già intravedo, non tanto quello che tu chiaramente sei, quanto quello che nebulosamente potresti diventare [forse un giorno chissà].
Così per i prossimi duecento minuti [leggi duecento anni] cercherò di incastrare la mia forma, a tetraedo stella, nello spazio della tua, a esaedro regolare, e userò tutta la pazienza che mi resta [ti anticipo che non sei il primo esaedro regolare a crearmi problemi], e userò tutta la dolcezza che ho conservato [da qualche parte, credo, forse tra i capelli, spero].

– io volevo solo che tu mi amassi
– solo?
– beh, tipo solo
– ti basta tipo amassi?

puff…
un puff grande almeno come la scritta Hollywood, hai gentilmente [questo devo ammetterlo] appoggiato sul mio cuore, che d’un tratto ha smesso di respirare [sarà grave?], mentre il motore di un boeing 747 cerca di aspirarmi l’anima, manco fossi una gabbianella distratta nel cielo sopra Berlino.
Beh, Berlino, facciamo anche solo Torino, comunque che importa, sempre di cielo si tratta.
Anzi, ora che lo guardo meglio mi accorgo che senza di te, con me, insieme qua sotto, non è più nemmeno bello uguale. Nemmeno un po’.
Adesso piango.

… come hai detto di chiamarti?